TUTTA COLPA DEL VIRUS?

Sono molti gli elementi che possono causare un abbassamento delle nostre difese immunitarie. La scienza individua alcune determinanti sociali nelle epidemie
di Vincenzo D. Esposito
Sicuramente, oggi, il tema di cui si parla di più è quello delle infezioni e viene data, tanto dai media quanto dagli studiosi, la massima attenzione alla biologia e alla medicina e alle possibilità che queste scienze possono offrire per assicurare il massimo della difesa.
Ma il nostro organismo ha bisogno di condizioni non solo fisiche per restare in buona salute ed essere in grado di affrontare e vincere qualsiasi attacco esterno.
Mi piace confrontarmi, riportandovelo, con un articolo pubblicato dalla rivista Scienze (edizione italiana dello Scientific americano), che allarga la visuale e argomenta che la nostra migliore difesa sono i cambiamenti sociali.
Nella storia recente della medicina del secolo scorso e dell’inizio del XXI, rispetto alla lotta alle infezioni, si osserva una alternanza fra posizioni di grande sicurezza con la convinzione di aver raggiunto il pieno controllo della situazione infettivologica e momenti di grande preoccupazione per nuove (apparentemente) situazioni che si vengono a determinare.
Nel 1972 veniva pubblicata la quarta edizione di “Natural history of infectious diseases” di David White e Frank Mac Farlane Burnet.
La pubblicazione arrivava dopo una serie di successi della medicina: vaccini contro morbillo, parotite, rosolia e poliomilelite e scoperta di dodici classi di antibiotici tra cui la penicillina naturale.
Di conseguenza Burnet chiuse il libro con una previsione ottimistica “è assai probabile che il futuro delle malattie infettive sarà molto noioso”.
Erano maturate le condizioni per l’imporsi della teoria dei germi che in sintesi consiste nel ritenere che le malattie possono essere trasmesse e gli agenti di trasmissione essere identificati e bloccati.
Accanto alla teoria dei germi si affermò anche quella che viene indicata come la “transizione epidemiologica”: le infezioni mortali si sarebbero ridotte e le malattie croniche a crescita lenta sarebbero state la priorità.
La transizione epidemiologica ha dato un forte impulso alla tecnologia con il conseguimento dei seguenti obiettivi:
- Identificazione di virus
- Perfezionamento dei vaccini
- Sviluppo di antibiotici
- Sviluppo della immunoterapia
- Mappatura del genoma
Ma dal 1978 si possono evidenziare tappe di una evoluzione non troppo ottimistica, nonostante le previsioni della teoria dei germi e della transizione epidemiologica .
Di seguito sviluppiamo una tabella di questi eventi negativi dal 1976 ad oggi
- 1976 primo caso di virus ebola nel Congo
- 1981 a Los Angeles si verifica un caso di polmonite atipica da cui parte la pandemia mondiale hiv-aids
- 1988 l’enterococco, debellato come infezione ospedaliera, diventa resistente alla vancomicina e si trasforma in un supermicrobo
- 1997 il virus influenzale h5n1 compie il salto di specie dai polli all’uomo e si sviluppa la influenza aviaria
- 2003 epidemia di influenza aviaria h7n7
- 2020 pandemia da covid 19
Man mano che si verificavano questi eventi negativi si insisteva con la transizione epidemiologica ma nel 1988 Montaigne e Robert Gallo affermavano :
“dieci anni fa si riteneva che le malattie infettive non costituissero più una minaccia per i paesi sviluppati (…). Questa fiducia è stata scossa all’inizio degli anni 80 dall’avvento dell’aids o sindrome da immunodeficienza acquisita.
Il riconsocimento della nuova malattia colpì il senso di sicurezza diffusa sulla presunta sconfitta delle malattie infettive. Scienziati e politici erano scaduti nell’autocompiacimento, fiduciosi della protezione offerta da antibiotici e vaccini. Dobbiamo riesaminare la nostra strategia complessiva di lotta alle malattie infettive”.
E finalmente incominciò a farsi strada la teoria del ruolo dei determinanti sociali delle malattie infettive.
Questa teoria enuncia che anche i fattori sociali ed economici, non solo quelli medici ed immunologici innati, influiscono notevolmente sul rischio di sviluppare una malattia. Tra i determinanti sociali intervengono:
- Alloggi non sicuri
- Assistenza sanitaria inadeguata
- Incertezza lavorativa
- Mancanza di rappresentanza a livello politico
Queste posizioni sono sostenute da molte autorità nel mondo della medicina e della biologia in America come Katherine Hirschfeld professore associato di antropologia dell’Università dell’Oklahoma, da epidemiologi come Richard Wilkinson e Kate Picket.
Questi ultimi sostengono che le società non eque sono società malsane: più grande è il divario economico tra i più ricchi e i più poveri di un paese, più elevata è la probabilità che il paese possa soffrire di speranza di vita più bassa e percentuali più alte di malattie croniche, gravidanze in adolescenti e mortalità infantile.
Questo spiega perché il covid abbia colpito fortemente città come New York. E soprattutto perché stia dominando la maggior parte del nostro mondo e del nostro tempo.

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