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I FRANCESISMI NELLA LINGUA NAPOLETANA: Spunti di riflessione

Francesismi
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Francesismi e lingua napoletana

“Il più certo modo di celare agli altri i confini del proprio sapere, è di non oltrepassarli.”
L’arguta, intelligente riflessione è di un grande poeta e sommo erudito: Giacomo Leopardi.

Anche in me è presente quel “fenomeno” che i linguisti chiamano diglossia: l’acquisizione di due codici linguistici, il napoletano e l’italiano che ci consentono di pensare e di esprimerci volentieri in dialetto, riservando la lingua italiana ai momenti più ufficiali e, naturalmente, alle produzioni scritte.

Accade di parlare in Italiano, traducendo il pensiero dal Napoletano che è la cosiddetta lingua madre. Si sa che la traduzione comporta sempre qualche approssimazione semantica, ed io di questo mi scuso anzitempo!

Ha forte importanza, presso di noi, il Napoletano quale lingua madre e la mia autoconsapevolezza linguistica mi porta ad affermare l’assoluta inseparabilità della lingua dal pensiero.

Anche qui si tratta del classico rapporto tra forma e contenuto, presente in tutte le attività espressive e comunicative, a prescindere dal tipo di linguaggio: verbale, scritto, visuale, gestuale, segnico, tattile e così via.

Francesismi, pensiero e linguaggio

Herder (filosofo e scrittore tedesco della seconda metà del Settecento) ha il merito di aver indagato la stretta connessione tra pensiero e linguaggio.

E’ stato un nostro conterraneo ( anche se nato a Bordeaux nel 353) a estrinsecare questa essenziale connessione.

Si tratta di San Paolino di Nola, Il dotto vescovo nolano (corrispondeva, peraltro, con Sant’Agostino e Sant’Ambrogio) , in una delle sue numerose lettere in latino, scrive

Sapor mentis in sermone gustatur


Vale a dire, Il sapore del pensiero si gusta nella parola. Ed è proprio quello che accade nel dialetto napoletano.

Con maggiore intensità questa connessione, gustosa e saporita, tra pensiero e parola si manifesta quando la nostra autoconsapevolezza linguistica viene a essere stimolata da contatti con gente che parla una lingua straniera o un dialetto per noi incomprensibile.

Dal Settecento all’Ottocento

I Francesi hanno lasciato un’impronta forte in tutta Europa, se consideriamo l’arco temporale tra Settecento e Ottocento dove la lingua francese era la lingua della diplomazia, la lingua delle corti europee e delle classi colte.

Una diffusione che è condizione e condizionamento linguistico del “secolo dei lumi”.

Soffermiamoci sui 178 anni della presenza francese a Napoli, ossia quando gli Angioini fecero seguito agli Svevi (1266-1435) e il periodo napoleonico (1806-1815): un arco di tempo nel quale i francesismi furono accolti nella parlata napoletana e ben adottati e adattati, attraverso quella “rotondità” fonetica, soprattutto vocalica che la distingue.

La lingua napoletana è lingua vocalica, non consonantica come i dialetti del nord o la lingua tedesca.

Nel Napoletano le consonanti sono ridotte; pensiamo – solo per fare un esempio – al loro abbattimento a favore di vocali. Prendiamo in considerazione la lettera g. Allora Agostino diventa Austine; ragù diventa rraù; friggere diventa frìjere; fragola diventa fràula.

Facciamo solo qualche limitato esempio di termini più in uso nel napoletano che si identificano come francesismi:


acheter (comperare, acquistare) diventa accattà;
après (dopo) diventa appriésse;
arranger (adattarsi) diventa arrangià;
bleu (blu) diventa bblù;
breloque (ciondolo) diventa brillocco;
boîte (scatola) diventa buàtta;
bouteille (bottiglia) diventa buttéglia;
chanteuse (cantante e ballerina) diventa sciantósa;
chou-chou (tesoro) sciusciù;
enserrer (rinserrare) diventa ‘nzerrà;
entretien (conversazione) diventa ‘ntrattiene;
èpingle (spilla) diventa spìngula;
gâteau (sformato) diventa gattò;
rage (rabbia) diventa arràggia;
sans faşon (senza maniera) diventa sanfasò;
serviette (tovagliolo) diventa sarviètta;
sparadrap (cerotto) diventa sparatrappo;
tire-bouchon (cavatappi) diventa tìrabbusciò;
toupet (ciuffo) diventa tuppe.

La fluidità, la vocalità, le indeterminatezze, gli echi delle finali mai completamente mute assimilano il Napoletano alla musica e come tale arriva dentro di noi, naturalmente, semplicemente.

Melchior Grimm riteneva la indeterminatezza della musica un punto di forza del linguaggio musicale, poiché – scrisse – la musica, senza passare per la mente, arriva direttamente al cuore lo stesso Herder amplia la sua riflessione, definendo “intimo” il rapporto tra la lingua e le caratteristiche della gente che usa quella lingua.

Un’altro studioso, Wilhelm von Humbold, approfondisce la questione individuando in ogni lingua una peculiare struttura, , tale da condizionare il modo di pensare e di esprimersi dei portatori di quel sistema linguistico.

Così accade per noi Napoletani. Ecco il tipico modo di riflettere e di parlare, laddove la musicalità della parola si accompagna all’inscindibile ed efficace gestualità, a una mimica intensamente espressiva. Una sorta di intersensorialità, dove parola,mimica, gesto, cioè udito, vista e tatto si fondono e si confondono.

Un materiale, dunque, comunicativo, intersensoriale che crea un sistema linguistico complesso, difficilmente registrabile nella sua totale interezza espressiva: “… a meno di non ricorrere a un improbabile quanto complicato ‘pentagramma’ che possa restituire la molteplicità dei messaggi sensoriali e cogliere la particolare struttura di linguaggio espressivo, carico – come direbbe Berardinelli – di polline poetico”.

Humbold considerava che le peculiarietà di ogni linguaggio condizionnoi sia il pensiero che le modalità espressive del soggetto parlante.

Ed è quello che accade ai Napoletani, laddove il rapporto del sé col mondo, la singolare mentalità, la particolare concezione esistenziale discende da questo legame con la lingua.

Lingua ricca di espressività che spesso dà luogo a una sorta di totalità emozionale per creatività e metaforicità, rendendola,per questo, incline alla trasmissione di messaggi tanto ineffabili quanto poetici.

Concluderei questa conversazione con un’altra efficace citazione; questa volta di von Humbold:” La lingua di un popolo è il suo spirito, il suo spirito è la sua lingua”.

Franco Lista

https://www.treccani.it/francesismi


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